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Vediamo di capire innanzitutto quali sono e quali sintomi causano le malattie per evitare le quali è assolutamente imperativo ricorriere alla vaccinazione. Le principali sono quattro:
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E’ una gravissima malattia infettiva sostenuta da un parvovirus, che colpisce il cane con particolare incidenza nei cuccioli fino ai sei mesi di età, anche se non manca di mietere vittime fra gli adulti.
Pare che alcune razze siano più a rischio di altre (Scherding cita Rottweiler, Pinscher, Pit e Labrador neri).
La trasmissione avviene attraverso il contatto con feci infette e con attrezzature ed ambienti con i quali sono venuti a contatto animali ammalati. In tutto questo meccanismo gioca un ruolo fondamentale la notevole resistenza del virus nell’ambiente esterno, fino addirittura a diversi mesi.
L’organo bersaglio è l’intestino, in particolare l’epitelio delle cripte ad elevato indice mitotico (cellule con alto tasso di ricambio). Il sintomo principale è quindi la diarrea: inarrestabile, violentissima, emorragica, che causa nel cane uno stato di profonda disidratazione che spesso lo porta a morte; a questo si aggiungono vomito, evidente abbattimento, anoressia, shock endotossico (per assorbimento di tossine, a causa della mancanza di barriera fra il contenuto intestinale ed il sangue), irruzione di batteri opportunisti.
La terapia è rivolta a…limitare i danni: supporto con liquidi in vena per contrastare la disidratazione e gli squilibri elettrolitici, antibiotici per evitare che i batteri banchettino in un ambiente a loro favorevole, eventuali antiemetici per controllare il vomito, immunoglobuline (sieri iperimmuni) che a volte danno risultati.
La prognosi è ovviamente riservata, soprattutto in cucciolate di pochissime settimane. Ma è necessario aggiungere che quando il cane supera i primi 3 o 4 giorni di diarrea, ha di solito discrete probabilità di farcela.
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E’ causato da un paramixovirus, strettissimo parente di quello che causa il morbillo nell’uomo. Colpisce cani e canidi in generale (volpe, lupo, coyote, ecc.) di qualsiasi età, oltre a mustelidi (furetto, visone, ecc.) e procioni. Pare possa essere veicolato anche da felini esotici, ma non dal gatto domestico.
La principale fonte d’infezione è l’aerosol, che non necessita di contatto diretto ma solo di vicinanza fra i cani (negozi, canili, ecc.). L’ingresso del virus nell’organismo attraverso le vie respiratorie causa una prima infezione a carico di tonsille e linfonodi bronchiali. Da qui la malattia inizia a diffondersi, causando una sintomatologia piuttosto variabile a seconda della condizione immunitaria dell’ospite, con particolare interessamento del sistema nervoso centrale e grave immunodepressione.
I principali sintomi sono inizialmente generici: malessere, anoressia, febbre (generalmente con due picchi a dieci-
A questi seguono manifestazioni più tipiche, come rinite e congiuntivite inizialmente sierose, poi mucopurulente; polmonite, broncopolmonite, vomito e diarrea completano il quadro, per giungere alla più tipica (e purtroppo spesso terminale) manifestazione della malattia, il coinvolgimento del sistema nervoso, con incoordinazione motoria, convulsioni, modificazioni del carattere, cecità, contrazioni involontarie della muscolatura, ipercheratosi dei cuscinetti plantari (hard pad disease o malattia del piede duro) e del tartufo (naso di gomma).
La prognosi è sempre riservata, spesso infausta, soprattutto per la immunodepressione causata da questo virus e le conseguenti infezioni batteriche secondarie.
La terapia è in massima parte di tipo sintomatico, con copertura antibiotica per contrastare le sovrainfezioni batteriche. L’omeopatia in molti casi è di aiuto, mentre l’impiego di un siero iperimmune è utile solo finché il virus non si trova nel sistema nervoso, dove risulta difficilmente raggiungibile.
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E’ anch’essa causata da un virus (adenovirus canino tipo 1), correlato ma distinto da quello che provoca la tosse dei canili (tipo 2).
Colpisce solo i canidi e, data l’efficacia della vaccinazione, se ne segnalano in Italia solo pochissimi casi, il cui reservoir è da ricercarsi nei cani rinselvatichiti (e quindi non sottoposti a trattamenti immunizzanti).
Durante l’infezione acuta, il virus è presente in tutti i tessuti ed eliminato anche con le urine. E’ estremamente resistente alla inattivazione ed alla disinfezione, rendendo possibile la sua diffusione tramite attrezzi ed ectoparassiti.
La penetrazione avviene per via oronasale ed a questo punto la malattia può evolvere secondo un decorso estremamente vario per gravità, ma che coinvolge sempre il fegato (principale organo bersaglio). Si va infatti da un’epatite cronica attiva di durata anche notevole, fino alla necrosi epatica iperacuta, che porta a morte l’animale in poche ore.
Oltre al fegato, vengono colpiti i reni (glomerulonefrite), la cornea (edema che crea opacamento, detto “occhio blu”, uveite anteriore), l’endotelio dei vasi sanguigni (CID, o coagulazione intravasale disseminata, che causa ecchimosi e petecchie).
La sintomatologia è quindi varia, comprendendo febbre, vomito, diarrea, dolori addominali, ingrossamento linfonodale, emorragie, segni di interessamento nervoso. I sintomi oculari possono essere concomitanti all’infezione acuta o seguire la guarigione.
Per cambiare, il trattamento è solo di supporto alla patologia epatica. Si può eventualmente tentare anche con un siero iperimmune, sulla cui efficacia la bibliografia è però discordante.
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E’ una zoonosi (malattia che colpisce sia gli animali che l’uomo) sostenuta da diversi sierotipi di Leptospira, che non è un virus ma un organismo unicellulare simile ad un batterio. Il serbatoio della leptospirosi sono gli animali selvatici, topi e ratti innanzitutto.
L’ospite definitivo (cane, uomo, ecc.) si infetta generalmente attraverso l’ingestione di cibi contaminati dalle urine di animali eliminatori, oppure per contatto attraverso ferite aperte (e qui entrano in ballo i cani mangiatopi).
L’infezione, a seconda della varietà di leptospira in questione e dello stato dell’animale, causa una sintomatologia da grave a gravissima. Gli organi colpiti sono soprattutto i reni (insufficienza renale per danno ai tubuli) ed il fegato (necrosi acuta, ittero, fibrosi ed epatite cronica attiva).
Nell’uomo la sintomatologia è altrettanto grave, la malattia evolve con febbre, depressione, vomito, anoressia, dolori muscolari, insufficienza renale ed epatica, ittero. Se non diagnosticata tempestivamente può essere mortale. La terapia, valida solo finché i danni renali ed epatici non diventano irreversibili, è a base di penicillina e diidrosrtreptomicina. Ciò non toglie che quasi sempre il cane ammalato resta (pure se guarito clinicamente) eliminatore a vita e perciò fonte d’infezione.
A queste gravissime malattie possiamo aggiungerne altre tre: la tosse dei canili, le infezioni intestinali da coronavirus e la rabbia.
Mentre la vaccinazione per l’ultima di queste ha un utilizzo prettamente legale (espatrio, manifestazioni cinofile ufficiali, imbarco su aerei o navi, eccetera), dal momento che l’Italia risulta esente da questa malattia, i trattamenti immunizzanti rivolti alle prime due mi trovano piuttosto scettica. Il motivo è presto detto: nonostante quanto affermato dalle Case Produttrici, sono convinto che il sistema immunitario di un qualunque essere vivente abbia dei limiti e che quindi l’essere costretto a reagire a quattro valenze di vaccino (parvovirosi, cimurro, epatite, leptospirosi) comporti uno sforzo decisamente diverso da quello necessario a reagire a sei o sette.
Se a questo evidente sovraccarico immunitario aggiungiamo il fatto che la tosse dei canili e le coronavirosi sono decisamente poco frequenti, che solo rarissimamente sono realmente pericolose per la salute del nostro cane e che rivestono una qualche importanza esclusivamente in ambienti a rischio elevato (canili e pensioni sovraffollate), riuscirete a comprendere le ragioni di questa mia avversione.
Bene, esclusi a priori i vaccini “troppo polivalenti” e certa di essermi così attirata le ire e le feroci critiche dei sostenitori (e dei produttori) di questi, proviamo a vedere cosa si può fare per evitare che il nostro Pucci prenda una delle quattro malattie di cui ho appena parlato.
Partiamo dall’inizio, ovvero dalla sua nascita:
Appena nato, Pucci fa l’unica cosa di cui è capace: succhia il latte.
Nei primissimi giorni i cuccioli e la loro mamma sono speciali: mentre quest’ultima immette nel latte una grande quantità di anticorpi (ovvero le proteine capaci di bloccare sul nascere un’infezione), Pucci ed i suoi fratellini hanno una parete intestinale particolarmente porosa e quindi capace di assorbirli.
Gli anticorpi passano nel sangue dei cuccioli e li proteggono da tutte le malattie per le quali è stata immunizzata la mamma, anche se, chiaramente, questa copertura non può durare per sempre.
Se, mentre la copertura data dagli anticorpi materni è ancora attiva (e può rimanerlo fino ai 40-
La soluzione, salvo particolari situazioni ad alto rischio, sta nell’attendere i sessanta giorni di età e poi procedere con un solido protocollo vaccinale. Quelli che seguono, per criticabili che possano essere, sicuramente funzionano.
Cuccioli a basso rischio (sono quelli che nascono nelle condizioni igieniche ideali):
8 settimane: “P”
La parvovirosi è la malattia più pericolosa per i cuccioli, nonché quella più facilmente trasmissibile e questa vaccinazione viene fatta da sola perchè è importante che l’immunità che crea sia molto efficace.
11 settimane: “CHP”
Ovvero: primo richiamo della parvovirosi per allungarne l’immunità data dal vaccino fatto tre settimane prima e primo trattamento contro cimurro ed epatite.
14 settimane: “CHPL”
Richiamo di cimurro ed epatite, primo trattamento contro la leptospirosi (questa vaccinazione è la più stressante per il cucciolo, quindi si tende a ritardarla per quanto possibile); secondo richiamo della parvovirosi, per essere arcisicuri della copertura.
17 settimane: “L” (oppure “CHPL”)
Richiamo della sola leptospirosi, per garantire una copertura che comunque non supererà mai i sette-
Cuccioli a medio rischio (provenienza incerta, contatti con cani sulle vaccinazioni dei quali non si ha l’assoluta sicurezza, eccetera):
8 settimane: “CHP”
11 settimane: “CHPL”
14 settimane: “CHPL”
Per quanto riguarda le situazioni a rischio elevato od estremo (epidemie in luoghi vicini), tendo personalmente a valutare caso per caso.
Ci sono infatti in commercio dei vaccini particolari studiati appositamente per cuccioli molto piccoli, nei quali dovrebbero garantire il superamento dell’eventuale immunità materna e quindi permettere l’instaurarsi di una copertura efficace. Sono utilizzabili dai quaranta giorni in poi ed anche se non li amo particolarmente, a mali estremi…
E quando Pucci cresce?
Beh, fermo restando il richiamo semestrale della leptospirosi, visto che l’immunità vaccinale per questa malattia difficilmente supera i sette-
Recenti studi (americani, per cambiare), sostengono che l’immunità fornita dalla vaccinazione contro cimurro, epatite e parvovirosi duri intorno ai due anni. Ma questo non succede sempre, perciò, nel caso si decida di attendere questo lasso di tempo, per sicurezza è buona norma valutare con un esame del sangue che il tasso di anticorpi circolanti sia ancora ad un livello accettabile.
A questo punto sono certa che avrete già in mano il libretto di vaccinazioni del vostro cane.
Tengo a precisare che i protocolli appena esposti non hanno la pretesa di essere necessariamente i migliori. Sono semplicemente quelli con cui io mi trovo meglio, ma non è detto che il vostro veterinario, pur agendo in maniera diversa dal sottoscritto, non ottenga risultati uguali o migliori.